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MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2025 - REDAZIONALE

QUANDO L'ITALIA DEL PALLONE DOMINAVA I CONFINI DEL MONDO


Oggi, invece, ci ritroviamo a osservare le macerie


 
     
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A cura di: Redazione
Fonte: Napolicalcionews.it

C’è stato un tempo in cui la Nazionale italiana incuteva rispetto. Non era solo una squadra: era un’istituzione, un pezzo di storia. Come Roma all’apice del suo splendore, l’Italia del pallone dominava i confini del mondo conosciuto: quattro Mondiali, un’identità feroce, un’aura che spaventava gli avversari prima ancora del fischio d’inizio. Oggi, invece, ci ritroviamo a osservare le macerie di un impero sportivo che si sgretola lentamente, quasi senza che ce ne accorgessimo davvero. La sconfitta con la Norvegia di domenica – fragorosa, simbolica – è l’ennesimo avviso di un declino che non può più essere ignorato.

All’Impero romano d’Occidente non bastarono la gloria passata e le vittorie scolpite nella pietra per fermare l’avanzata delle popolazioni barbariche. I Visigoti di Alarico, i Vandali: un tempo considerati inferiori, poi diventati la minaccia più concreta. Nel nostro piccolo, anche il calcio italiano vive la stessa traiettoria. Macedonia del Nord, Svizzera, Albania, e ora la Norvegia: avversari che non sono più comprimari. Non sono cresciuti soltanto loro: siamo noi che abbiamo perso terreno, come un impero incapace di leggere i cambiamenti del mondo che lo circonda.

Roma non cadde soltanto per la pressione dei barbari. Il vero terremoto fu interno: inefficienze, riforme mancate, amministrazioni incapaci di anticipare il futuro. E l’Italia del calcio non è diversa. Il problema non è la singola sconfitta, ma il sistema intero: vivai impoveriti, club che preferiscono stranieri pronti subito, giovani schiacciati in panchina, idee confuse ai piani alti, un’identità di gioco che cambia alla velocità con cui un imperatore veniva deposto. La fragilità interna è ciò che rende inevitabili le invasioni esterne.

Anche l’Impero romano, nella sua lunga agonia, ebbe un’ultima fiammata. Ci furono tentativi di riforma, battaglie vinte, illusioni di una restaurazione possibile. Per noi quell’illusione ha un nome preciso: Europeo 2021. Una vittoria splendida, forse l’ultimo lampo di una grandezza che già stava declinando. La Nazionale giocava un calcio moderno, convincente, elettrico, ma dietro quel miracolo, come dietro le manovre degli ultimi imperatori illuminati, si nascondeva una struttura arrugginita, incapace di reggere il ritmo del presente. La caduta dell’Impero fu definitiva quando Roma non riuscì più a difendere nemmeno le sue città centrali, quando ciò che era scontato smise di esserlo. La sconfitta con la Norvegia è la nostra metafora perfetta: un tempo sarebbe stata routine, oggi è un Everest. L’Italia non fa più paura, e questo è forse il dato più drammatico. La percezione della nostra grandezza si è ribaltata: non siamo più l’Urbe inviolabile, ma una città assediata. Eppure la storia di Roma ci insegna che la caduta non è necessariamente la fine. Dalle sue rovine nacquero nuovi mondi, nuove culture, nuovi equilibri. L’Italia calcistica può fare lo stesso, a patto di avere il coraggio di cambiare davvero: riformare il movimento giovanile, costruire una linea tecnica chiara, investire nella formazione, smettere di rincorrere nostalgia e improvvisazione. Il passato non basta più, e le macerie possono essere un punto finale o un punto di partenza.

La storia raramente si ripete, ma spesso fa rima. Oggi la Nazionale è il nostro piccolo Impero romano d’Occidente: un gigante stanco che non riesce più a capire il proprio tempo. La caduta è evidente. La rinascita, invece, dipende da quanto siamo disposti ad abbandonare ciò che eravamo per costruire ciò che potremmo tornare a essere.

A cura di Luigi Pezzella