A cura di: Redazione
Fonte: Napolicalcionews.it
Un giorno è
atterrato. Non si è sentito il frastuono dei motori, né il rullare dei tamburi.
Solo un fruscio lieve, come di pagine che si voltano nel vento. Era Kevin De
Bruyne, e stava entrando nel nostro racconto. Non lo avevamo ancora visto
arrivare, ma lo avevamo già "sentito". Come si sente un temporale
d’estate da lontano, come si intuisce una poesia appena prima che venga
scritta. È comparso nell’orizzonte del Napoli come "una cometa
silenziosa", che prima si osserva con stupore e poi si comincia ad amare
con timore. Come il Piccolo Principe, anche lui ha lasciato il suo
asteroide. Ha scelto un pianeta che si
chiama Napoli, che ha i crateri dei suoi dolori ma anche le aurore dei suoi
entusiasmi. Un luogo dove la felicità non è stabile, ma quando arriva… dilaga come
il mare d’inverno. Non un pianeta di sabbia e baobab, ma un regno d’erba
perfetta e trofei d’argento. Arriva da un mondo in cui aveva vinto tutto, ma
dove il tempo non aveva più mistero. Aveva bisogno di un’altra orbita, di un
cielo più imperfetto, ma più vero. E allora ha scelto di venire qui. Nel luogo
meno ovvio. Nel posto che non si sceglie per logica, ma per incanto. Napoli non
è una destinazione. È un incontro. È il tipo di luogo che ti osserva in
silenzio, come la volpe nel deserto, e prima di offrirti qualcosa ti domanda:
“Mi addomestichi?”. E Kevin, da Principe quale è, non ha cercato una nuova coppa
da sollevare. Ha cercato una nuova rosa da curare. Una rosa che non è perfetta,
non è semplice, non è immune al dolore. Ma è viva. E dunque unica. Kevin è sceso sulla nostra terra, non ha ancora parlato, non
ha ancora toccato il pallone, eppure ogni silenzio che lo accompagna sembra una
promessa non detta, come quando si entra in una casa nuova e si resta fermi a
sentire il rumore del pavimento. Napoli lo osserva con gli occhi grandi di chi
sa che la bellezza passa, ma lascia sempre qualcosa. Lo osserva come il Piccolo
Principe guarda la rosa: non perché sia l’unica al mondo, ma perché è la sola
per cui ha deciso di prendersi cura. E Kevin è una rosa all’incontrario. Non ha spine, ha geometrie. Non ha profumo, ma visioni. Quando gioca, non corre: semina. Ogni suo tocco è un seme di qualcosa che deve fiorire: un
assist, un’intuizione, una verticalità che sembra una carezza data col
pensiero. Napoli, che ha sempre avuto un talento speciale nel riconoscere gli
incantatori, ha già iniziato ad amarlo. Lo ama come si ama chi arriva da
lontano portando un accento diverso, ma una verità simile. Lo ama come si ama
un visitatore che non promette miracoli, ma ne porta uno nei piedi. E allora lo
immaginiamo camminare tra le mura di Castel dell’Ovo, guardare il Vesuvio e non
capire se è un vulcano o un cuore. Lo immaginiamo osservare il Maradona vuoto,
e domandarsi se il rumore che sente è il vento…o un soffio che già lo chiama
per nome. Ancora non ha detto nulla, ma ogni suo silenzio ci parla. Come accade
nel "Piccolo Principe", quando
l’essenziale non ha bisogno di essere spiegato. De Bruyne non ha scelto Napoli
per logica, ma per una fame invisibile. Quella che viene quando hai avuto
tutto, ma ti manca l’appartenenza. Napoli non gli ha offerto una vetrina. Gli
ha offerto un altare. E lui ha accettato. Non per restare per sempre, ma per
scrivere almeno una pagina, quella che ti fa essere ricordato anche da chi non
ti ha mai visto giocare. Perché qui non servono cento partite per diventare
leggenda. Basta una scintilla vera, una notte giusta, un assist che sembri una
poesia dritta nel cuore della città. Forse non lo sa, ma da questo momento ogni
suo passaggio sarà atteso come si attende una lettera da un amico lontano. Ogni
suo movimento sarà letto come una frase lasciata a metà. Ogni sorriso sarà una
crepa nel cielo grigio che ci ha accompagnato per troppo tempo. Perché qui il
calcio è un linguaggio. E noi, da sempre, aspettiamo qualcuno che lo parli come
una lingua madre. E allora, come scriveva il Piccolo Principe:
“È il tempo che hai
perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Kevin ha
scelto di "perdere il suo tempo" con noi. E per questo, anche senza
averlo ancora visto, è già diventato importante. Perché il tempo è il tesoro
che nessuno ti restituirà e la felicità è un atto di ribellione contro l'
inesorabile fuga del tempo. La differenza tra accontentarsi ed essere felici a
volte è solo questione di coraggio, Kevin e il Napoli non si sono accontentati,
hanno avuto coraggio e allora comunque andrà, saremo felici. A cura di Luigi Pezzella
|