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MERCOLEDÌ 25 NOVEMBRE 2020 - NEWS

MINÀ RICORDA MARADONA: "ORA SILENZIO, IL SUO PREZZO L'HA PAGATO DA TEMPO"


Bellissimo messaggio del giornalista in ricordo di Diego


 
     
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A cura di: Redazione
Fonte: Rai Sport

Comincia così il  lunghissimo post che Gianni Minà, amico fraterno da sempre di Diego  Armando Maradona, ha dedicato su Facebook al grande campione  scomparso, intitolandolo 'A Diego'.       

"So che la comunicazione moderna spesso crede di poter disporre di un  campione, di un artista soltanto perché la sua fama lo obbligherebbe a dire sempre di sì alle presunte esigenze giornalistiche e commerciali  dell'industria dei media -scrive Minà- Maradona, che ha spesso  rifiutato questa logica ambigua, è stato tante volte criminalizzato.  Una sorte che non è toccata invece, per esempio, a Platini, che come  Diego ha detto sempre no a questa arroganza del giornalismo moderno,  ma ha avuto l'accortezza di non farlo brutalmente, muro contro muro,  bensì annunciando, magari con un sorriso sarcastico, al cronista  prepotente o pettegolo 'dopo quello che hai scritto oggi, sei  squalificato per sei mesi. Torna da me al compimento di questo  tempo'".       

"Era sicuro, l'ironico francese, che non solo il suo interlocutore  assalito dall'imbarazzo non avrebbe replicato, ma che la Juventus lo  avrebbe protetto da qualunque successiva polemica. A Maradona questa  tutela a Napoli non è stata concessa, anzi, per tentare di non  pagargli gli ultimi due anni di contratto, malgrado le tante vittorie  che aveva regalato in pochi anni agli azzurri, nel 1991 gli fu  preparata una bella trappola nelle operazioni antidoping successive a  una partita con il Bari, in modo che fosse costretto ad andarsene  dall' Italia rapidamente".

"Eppure nessuno, né il presidente Ferlaino, né i suoi  compagni (che per questo ancora adesso lo adorano) né i giornalisti,  né il pubblico di Napoli, hanno mai avuto motivo di dubitare della  lealtà di Diego. Io, in questo breve ricordo, a conferma di questa  affermazione, voglio segnalare un semplice episodio riguardante il  nostro rapporto di reciproco rispetto", scrive il giornalista.        Che prosegue: "Per i Mondiali del '90, con l'aiuto del direttore di  Rai Uno Carlo Fuscagni, mi ero ritagliato uno spazio la notte, dopo  l'ultimo telegiornale, dove proponevo ritratti o testimonianze  dell'evento in corso, al di fuori delle solite banalità tecniche o  tattiche. Questa piccola trasmissione intitolata 'Zona Cesarini',  aveva suscitato però il fastidio dei giovani cronisti d'assalto  (diciamo così...) che occupavano, in quella stagione, senza smalto,  tutto lo spazio possibile ad ogni ora del giorno e della notte. La  circostanza non era sfuggita a Maradona ed era stata sufficiente per  avere tutta la sua simpatia e collaborazione".       

"Così, nel pomeriggio prima della semifinale Argentina-Italia, allo  stadio di Fuorigrotta di Napoli, davanti a un pubblico diviso fra  l'amore per la nostra nazionale e la passione per lui, Diego, mi  promise per telefono: 'Comunque vada verrò al tuo microfono a darti il mio commento. E tengo a precisare, solo al tuo microfono'. La partita  andò come tutti sanno. Gol di Schillaci e pareggio di Caniggia per  un'uscita un po' avventata di Zenga. Poi supplementari e calci di  rigore con l'ultimo, quello fondamentale, messo a segno proprio da  quello che i napoletani chiamavano ormai 'Isso', cioè Lui, il Dio del  pallone".

"L'atmosfera -ricorda il giornalista- rifletteva un  grande disagio. Maradona, per la seconda volta in quattro anni, aveva  riportato un'Argentina peggiore di quella del Messico, alla finale di  un Mondiale che la Germania, qualche giorno dopo, gli avrebbe  sottratto per un rigore regalato dall'arbitro messicano Codesal,  genero del vicepresidente della Fifa Guillermo Cañedo, sodale di  Havelange, il presidente brasiliano del massimo ente calcistico, che  non avrebbe sopportato due vittorie di seguito dell'Argentina, durante l'ultima parte della sua gestione. C'erano tutte le possibilità,  quindi, che Maradona disertasse l'appuntamento".       

E invece "non avevo fatto a tempo a scendere negli spogliatoi, che  dall'enorme porta che divideva gli stanzoni delle docce dalle salette  delle tv, comparve, in tenuta da gioco, sporco di fango e erba, Diego, che chiedeva di me, dribblando perfino i colleghi argentini. C'era, è  vero, nel suo sguardo, un'espressione un po' ironica di sfida e di  rivalsa verso un ambiente che in quel Mondiale, non gli aveva  perdonato nulla, ma c'era anche il suo culto per la lealtà che, per  esempio, lo aveva fatto espellere dal campo solo un paio di volte in  quasi vent'anni di calcio".       

"Cominciammo l'intervista, la più ambita al mondo in quel momento, da  qualunque network -ricorda Minà- Era un programma registrato che  doveva andare in onda mezz'ora dopo, perché più di trent'anni di Rai  non mi avevano fatto 'meritare''ì' l'onore della diretta, concessa  invece al cicaleggio più inutile. Ma a metà del lavoro eravamo stati  interrotti brutalmente non tanto da Galeazzi (al quale per  l'incombente tg Diego concesse un paio di battute) ma da alcuni di  quei cronisti d'assalto che già giudicavano la Rai cosa propria e che  pur avendo una postazione vicina ai pullman delle squadre, volevano  accaparrarsi anche quella dove io stavo intervistando Maradona.

"El Pibe de Oro fu tranciante: 'Sono qui per parlare con Minà. Sono d'accordo con lui da ieri. Se avete bisogno di me prendete  contatto con l'ufficio stampa della Nazionale argentina. Se ci sarà  tempo vi accorderemo qualche minuto'. Aspettò in piedi, vicino a me,  che terminasse l'intervista con un impavido dirigente del calcio  italiano, disposto a parlare in quella serata di desolazione, poi si  risedette, battemmo un nuovo ciak e terminammo il nostro dialogo  interrotto. Quella testimonianza speciale, di circa venti minuti, fu  richiesta anche dai colleghi argentini, e andò in onda (riannodate le  due parti) dopo il telegiornale della notte".       

Fu un'intervista "unica e giornalisticamente irripetibile, solo per  l'abitudine di Diego Maradona a mantenere le parole date -sottolinea  il giornalista- Lo stesso aveva fatto per i Mondiali americani del '94 quando aveva accettato per due volte di ritornare all'attività  agonistica in nazionale prima per assicurare la partecipazione alla  querida Argentina nel match di spareggio contro l'Australia e poi  giocando tre partite all'inizio dei Mondiali stessi, prima che lo  fermassero. Eppure, val la pena ricordarlo, nel momento in cui, con  un'accusa ridicola era stato sospeso per doping dopo le prime due  partite. La Federazione del suo amato paese non aveva mandato nemmeno  un avvocato a respingere legalmente l'imputazione che non stava in  piedi: 'Hanno preferito trafiggere con un coltello il cuore di un  bambino' aveva commentato Fernando Signorini, il suo allenatore e  consigliere, quando la mattina dopo ci eravamo incontrati".       

"L'intervista da un motel dove aveva soggiornato con i parenti l'avevo ottenuta io. I giapponesi l'avevano mandata in diretta e i francesi in differita, un po' di ore dopo, non credendola possibile. Così,  insomma, questo modo di comportarsi da grande e da piccino lo ha  portato a superare ogni avversità e pericoli - anche quelli che  sembravano impossibili - della sua esistenza. Dalla polvere di Villa  Fiorito, nella provincia di Buenos Aires, dove è cominciata la sua  avventura di più grande calciatore mai nato alla militanza politica  nei partiti progressisti latinoamericani per i quali ha dato molte  volte la propria faccia. Nessun calciatore è mai arrivato a tanto.  Diego, per una ironia del destino, se n'è andato da questo mondo lo  stesso giorno di un altro gigante, Fidel Castro. Alla fine li  rimpiangeremo, come succede a chi ha lasciato una traccia indelebile  nel gioco del calcio e della vita. E ora silenzio. Il suo prezzo al  mondo del pallone lo ha pagato da tempo", conclude Minà.