A cura di: Maria Villani
Fonte: Napolicalcionews
Il giornalista del New York Times Rory Smith non ha solo intervistato Kvaratskhelia, gli ha dedicato un pezzo quasi romanzato, descrivendone la persona, il talento e il rapporto con Spalletti e la squadra. Eccone la traduzione integrale a cura di Napolicalcionews. (CLICCA QUI PER LEGGERLO IN VERSIONE ORIGINALE)
È lui, la star del momento, ha uno sguardo imbarazzato e non si tratta dell’ambiente, quello è perfetto. Si affaccia ad una ringhiera in ferro battuto sulla terrazza del Grand Hotel Parker, tutto in vetro inciso, di una eleganza alla belle epoque, con la città di Napoli che gli si offre allo sguardo tutta, fino al mare. E alle sue spalle troneggia il Vesuvio, ammantato di nuvole.
Non è quello, è la posa che rende perplesso Khvicha Kvaratskhelia. Proprio non sa decidersi su come tenere le braccia. Se le tiene troppo vicine, sembra teso e rigido, se invece le tiene troppo distanti allora sembra goffo e floscio. E non riesce a trovare il giusto compromesso che lo faccia contento e per un momento è un po’ confuso e proprio in quello momento ecco che esce dal suo territorio.
E per certi versi questo rassicura, almeno un po’. Perché per buona parte degli ultimi 9 mesi non è stato proprio chiaro che possa esistere un qualcosa capace di sbilanciare Kvaratskhelia. Tutto è filato liscio come l’olio, così beatamente impossibile per lui che lui stesso a volte è stato preso alla sprovvista.
“Da quando sono arrivato – dice – mi sembra quasi di essere in un sogno”.
Spesso è anche sembrato un po’ come guardarlo. Non accade più con traiettorie come quella di Kvaratskhelia. Non ci sono di queste sensazioni notturne nel calcio moderno. Le cose importanti del gioco che verrà, le aspettative sono raccolte e studiate prima che diventino adolescenti.
Hanno agenti all’età di 10 anni, contratti sulle scarpette a 12 e milioni di visualizzazioni su YouTube prima che compiano 14 anni. E sono convocati dai grandi club poco prima dei 16 anni, con delle leggende schierate davanti a loro con squadre che si contendono disperatamente affetto e firma. Quel tipo di talento in grado di illuminare uno dei principali campionati d’ Europa lo si identifica e coltiva mentre sta ancora germinando.
Non è – ripetiamo – non è trovare una tranquilla promessa all’età di 21 anni al Rubin Kazan, un club russo che di solito in Europa prende parte competizioni di secondo livello. Non sono queste le circostanze nelle quali sia possibile trovare un giocatore che immediatamente si mostri essere il tra le più devastanti forze d’attacco calcistico al mondo.
Invece è successo proprio questo.
Kvaratskhelia è arrivato al Napoli per una cifra poco più superiore ai 10 milioni di dollari la scorsa estate (dalla Dinamo Batumi, in Georgia, dopo aver cancellato il suo contratto a Kazan). E il club azzurro, a detta di tutti, lo seguiva da due anni.
E nell’arco di un paio di mesi, i tifosi della nuova squadra avevano già cominciato a chiamarlo Kvaradona oppure ancora, in maniera ancora più erudita, Kvaravaggio. Un’agenzia in Georgia ha iniziato a organizzare voli charter per Napoli in coincidenza con le partite casalinghe del Napoli, avendo cura che ognuno, ogni volta che va in campo allo Stadio Diego Armando Maradona, ci sia un piccolo angolo dello stadio contrassegnato con le bandiere georgiane e contenga un paio di centinaia di suoi connazionali arrivati apposta per vedere lui.
Per Natale il suo agente già doveva smorzare regolarmente gli entusiasmi sui rumours che volevano il City tutto indaffarato a rovistare nel suo ampio portafoglio per trovare i 100 milioni di dollari o giù di lì per poter persuadere il Napoli a cedere la sua gemma appena sbocciata.
Eppure sembra che nulla di tutto ciò lo abbia minimamente turbato: “L’inizio è stato così liscio che mi è sembrato di vivere un sogno – ha detto – ma a un certo punto, presto, mi sono dovuto riprendere, e ricordare a me stesso che non era un sogno, era realtà e che dovevo trovare in me stesso la forza di viverla”.
Nove mesi dopo, Kvaratskhelia continua a non possedere quella patina dorata della superstar nascente. Capelli scarmigliati, non per artificio o di proposito, ma distrattamente. La barba è fitta ma chiazzata al punto tale da meritare un altro soprannome, Che Kvara. Insomma, ha l’aria di un tormentato poeta d’amore oppure di un appassionato studente di politica.
Parla un inglese passabile ma perfetto al punto di decantare, con tanto di ragionevoli particolari, tutte le qualità salutistiche del vino georgiano, ma da quando vive in Italia ha preferito avere un interprete da Tbilisi. Un’ amica della mamma della sua fidanzata lavora nel parlamento del Paese – spiega. “Normalmente lavora con persone importanti” e dice questo senza un’ombra di ironia.
È tipico di come si sia calato nel suo nuovo status, di come abbia portato con leggerezza il peso delle aspettative che si sono rapidamente accumulate intorno a lui. “Tendo per mia natura alla gratitudine, sono grato per ogni briciolo d’amore, d’affetto che le persone mi mostrano. Lo so che è lode ma anche motivazione ed ispirazione. È una grande responsabilità. Devo dimostrare ad ogni partita che posso fare quello che ho promesso”.
E questo in nessun momento è sembrato essere un problema. In 21 partite nella stagione del suo debutto Serie A, Kvaratskhelia ha segnato 10 gol e ne ha creati altri 11. L’ultimo è arrivato sabato scorso, un gol da manuale con tanto di slalom tra tre difensori e poi la cannonata, un gran tiro che ne ha passati altri tre, oltre il portiere.
Questo ha messo la sua squadra in corsa per una vittoria che ha esteso il vantaggio a 18 punti sulla seconda Inter. Il Napoli è in piena corsa per la vittoria del titolo nazionale dopo 33 anni, e il consenso comune ha identificato la ragione in Kvaratskhelia.
Neanche la Champions League ha fatto paura. Il suo primo contributo nella massima competizione europea è stato instillare una crisi d’identità – tuttora irrisolta – in Trent Alexander-Arnold, difensore del Liverpool e della Nazionale inglese. Il più recente è stato un assist di tacco moderatamente irrealistico nella vittoria del Napoli contro l’ Eintracht nella gara d’andata degli ottavi.
Quella striscia virtuosistica, la sensazione che la sua più grande risorsa sia una fantasia sfrenata – è divenuta il biglietto da visita di Kvaratskhelia. “Quella libertà è la mia firma. È qualcosa che riconosco in me stesso. È perché amo quel che faccio. Quando gioco, è come se mi portasse via”.
Intanto questo non è ciò a cui attribuisce la radice del suo successo improvviso. Prima di arrivare a Napoli, ha avuto una lunga telefonata con Luciano Spalletti, allenatore scafato, d’esperienza. Spalletti, come è normale in questi frangenti, stava cercando di venderlo al club e contemporaneamente di ammonirlo sulla natura dei suoi compiti.
“È stata una bella chiacchierata” – dice Kvaratskhelia. Il tecnico non gli ha promesso ‘carta bianca’ per esprimersi. “Mi disse cosa si aspettavano che facessi per la squadra. Abbiamo parlato un bel po’ del lavoro difensivo, dell’essere parte del gioco di squadra e dell’importanza dello spirito di squadra. Ecco cosa è veramente importante per lui: lo spirito”.
Questo non è necessariamente, ovvio, ciò che un giocatore dal talento di Kvaratskhelia — spontaneo, che sa improvvisare e che lo fa con fierezza – quello che ci si aspetta possa possedere, che non è stato presentato come solista ma come parte di un’ensemble. E tuttavia questo ha perfettamente senso per lui. In parte ha riconosciuto che l’approccio di Spalletti potrebbe arricchire il suo carnet di talenti. “I tecnici italiani sono famosi, sanno come far rendere i calciatori”.
Eppure in primo luogo, è coinciso con la maniera in cui ha visto il suo talento. “Giochi col cuore, con la passione, ma giochi anche con la parte consapevole del tuo cervello – dice. È una cosa consapevole più di qualsiasi altra, basata su quel che hai appreso in allenamento, sugli errori che hai fatto in precedenza, sulle opzioni che ci sono”.
Quello che emerge del lavoro del genio improvvisato è, per Kvaratskhelia, in realtà niente di più di un modello costruito di esperienza vissuta. “Il modo in cui gioco è sia cuore che parte cosciente – aggiunge riflettendoci su un po’ di più. Ma se non usi il cervello allora non migliorerai mai”.
Lui sa quale sarà la sua prossima sfida
Si è reso conto, ha percepito, capito che le squadre – particolarmente in Italia — hanno iniziato a difendersi da lui in modo un po’ diverso. Magari non si sente una star, ma iniziano a trattarlo così. “Ho la sensazione che il mio fattore sia stato integrato nello studio del modo in cui le squadre si schierano contro di noi”.
E di questo non è affatto turbato. Al limite lo vede come un complimento. Nove mesi dopo il suo arrivo, ogni squadra che affronta il Napoli sa che se vuole avere almeno una chance, deve riuscire dove molti altri hanno fallito. Deve trovare un modo di portare Khvicha Kvaratskhelia via dal suo territorio.
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