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DOMENICA 1 GIUGNO 2025 - NEWS

LA TRACOTANZA DI INZAGHI E IL FATO DELL’INTER


Nella tragedia antica, la "hybris" è il peccato dei grandi


 
     
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A cura di: Redazione
Fonte: Napolicalcionews.it

C'è stato un momento preciso, quasi teatrale, in cui Simone Inzaghi ha varcato la soglia invisibile che separa l’ambizione dalla "hybris". È accaduto quando, con il petto gonfio e la voce ferma, ha risposto alla domanda su quale trofeo volesse vincere: "Tutti e tre". In quel momento, il tecnico dell’Inter non stava più semplicemente guidando una squadra di calcio; stava entrando in scena in un dramma greco, dove l’eroe, accecato da un eccesso di fiducia in sé, pronuncia la frase fatale che anticipa la sua rovina.

Nella tragedia antica, la "hybris" è il peccato dei grandi: non l’errore di chi sbaglia, ma la colpa di chi sfida i limiti imposti dagli dèi. E proprio come gli eroi omerici che osano troppo — Achille nella sua furia, Agamennone nella sua arroganza — anche Inzaghi ha esibito una sovrastima del proprio potere, un cieco affidarsi alla propria fortuna e alla macchina perfetta che credeva di aver costruito.

Ma gli dèi, si sa, non tollerano la superbia. E così arriva la catastrofè, il rovesciamento del destino. E come in ogni tragedia, la punizione non è mai immediata, ma procede per gradi, come una marea che si alza silenziosa.

La prima avvisaglia è l’eliminazione dalla Coppa Italia — proprio quel trofeo che Inzaghi sembrava aver trasformato in proprietà privata, uno scettro minore ma pur sempre regale. E invece, di colpo, gli viene sottratto. Non una caduta rumorosa, ma un'umiliazione silenziosa, che pesa più di una disfatta fragorosa. È la "prima ferita inferta dagli dèi", un monito che l’eroe, accecato dalla propria grandezza, ignora.

Poi arriva il pareggio in casa contro la Lazio. E il suolo di San Siro si fa tremulo come quello di un tempio profanato. Lì ci si aspetterebbe che l’eroe, messo di fronte ai propri limiti, riconosca la propria colpa. E invece no. Inzaghi, come tanti personaggi tragici, non riesce a vedere sé stesso come causa del proprio crollo. La colpa è del Var, dell’arbitro, del destino. Non della propria incapacità di domare l’avversario.

Qui il parallelismo si fa netto. Nell’antichità, quando il disastro colpiva, l’uomo spesso cercava un colpevole esterno: le Moire, le Erinni, forze oscure e ineluttabili che guidavano le vite verso la rovina. Così anche Inzaghi, rifiutando di assumersi la responsabilità, si rifugia nel mito moderno del "complotto arbitrale", nella narrazione vittimistica che lo solleva dal dovere più duro dell’uomo tragico: riconoscere la propria parte nel fallimento.

E quando il sipario doveva calare, non poteva che arrivare la nemesis, la vendetta degli dèi. Il colpo definitivo. Undici calciatori del Paris Saint-Germain, discesi in campo come divinità olimpiche, hanno fatto da strumenti della giustizia eterna. Freddi, lucidi, spietati, non hanno giocato una partita: hanno emesso una sentenza. Hanno mostrato a Inzaghi e all’Inter che ogni parola detta con arroganza, ogni responsabilità rifiutata, ogni sfida lanciata al cielo ha un prezzo. E quel prezzo, come nelle tragedie antiche, si paga...fino all’ultimo respiro.

A cura di Luigi Pezzella