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DOMENICA 28 NOVEMBRE 2021 - INTERVISTE

FABRIZIO MAIELLO: “HO TOCCATO IL FONDO NELL’OPG, L’AMORE PER IL PROSSIMO E PER IL CALCIO MI HANNO FATTO RIVIVERE”


L’ ex calciatore del Monza, poi ex detenuto, oggi è un esempio vivente di riscatto umano e sociale


 
     
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A cura di: Maria Villani
Fonte: Napolicalcionews

Un uomo, una storia e che storia di riscatto! Il suo nome è Fabrizio Maiello, lo incontro al “Settimo Ciro Day”, alla sede dell’Associazione “Ciro Vive' a Scampia. È il 23 novembre infatti, il compleanno di Ciro Esposito, data dell’inaugurazione dello Sportello “Rinascita”, centro di antiviolenza, ed ascolto e della panchina rossa. Sulla porta ascolto una sua frase: “Volevo rapire Gianfranco Zola ma non volevo fargli del male, volevo solo i soldi da Cellino”. E a Samuele Ciambriello dice: “Sono cambiato: in carcere era continuamente una negazione dei tuoi diritti. Una dottoressa, una psichiatra, mi ha dato una mano”. Ha dedicato 100 palleggi con un’arancia a Ciro, lo avvicino, gli chiedo se gli va di raccontare la sua storia e Fabrizio accetta.

Fabrizio hai conosciuto Ciro oppure hai conosciuto la Sig.ra Antonella Leardi?
“Ho conosciuto la mamma di Ciro, la Sig.ra Leardi nel 2019 a Nocera Inferiore. Mi avevano invitato per fare da testimonial a ‘Un calcio al bullismo’. Ho una storia di pallone e, purtroppo, di crimine… invitata a questo stesso evento c’era anche Antonella Leardi ad incontrare questi ragazzi.

Era un evento sociale?
Sì un evento sociale. Di Ciro avevo sentito alla televisione e mi era dispiaciuto perché un ragazzo non deve mai morire per andare a vedere una partita. Io sono stato in mezzo al crimine, al male ma queste persone veramente le schifo. Dico quel che penso, è una cosa indegna, non si può fare! Quel giorno ho conosciuto sua madre, l’ho sentita parlare e mi ha commosso e anche lei si è commossa per una storia con alcune similitudini: Ciro, appassionato di calcio, tifoso del Napoli, io anche appassionato di calcio e tifoso del Napoli. Ciro però era un bravo ragazzo di Scampia e io invece sono stato un cattivo ragazzo da  quando non ho avuto più il sogno di diventare calciatore. Fino a 17 anni giocavo nel Monza ed ero in prestito dal Milan, mi sono distrutto il ginocchio in un incidente e non ho potuto più fare il calciatore.

Quando hai avuto l’incidente al ginocchio?
Nel 1979, avevo 17 anni. E lì basta, mi si è spenta una luce perché fino a quel momento pensavo a fare esclusivamente il calciatore. Ero giovane e non avevo un ‘piano B’, a scuola non andavo bene, non me ne fregava nulla, avevo in testa solo il pallone. E quando mi hanno tolto quello che per me era un sogno, sono cambiato: da bravo ragazzo che ero… è stato un attimo… avevo una rabbia dentro, un rancore… era come se mi avessero preso il gioco più bello, il sogno della mia vita. Fino  a quel momento non avevo mai bevuto, mai fumato, non andavo neanche in discoteca, vivevo esclusivamente per il pallone. In un attimo sono cambiato e purtroppo mi sono buttato… sono nato a Milano ma i miei genitori sono napoletani, abitavo vicino alla Comasina (di Vallanzasca).

Quartiere difficile…
Sì, come Quarto Oggiaro… alcuni ragazzi che venivano a scuola con me, minorenni,  conoscevano già il carcere, io avevo il pallone che mi salvava. Ero loro amico ma avevo il pallone, quando poi il pallone non l’ho più avuto sono andato da questi miei amici e ho cominciato a delinquere come loro. In poco tempo, anche se non ero un criminale, li ho superati, ho fatto peggio. Da lì si è aperta subito, a 19 anni, la porta del carcere ed è stato un inferno dal quale sono uscito toccando il fondo, perché dal carcere sono poi finito nel manicomio criminale giudiziario OPG di Reggio Emilia.

Posso chiederti come mai il passaggio dal carcere al manicomio criminale? C’è una differenza sostanziale tra il primo e il secondo…
Perché non avevo pace, non ero tranquillo, combinavo casini, non riuscivo a star calmo. Ho fatto anche gesti… non posso dire di esser stato un bravo ragazzo, quando ero in quella mentalità ho fatto delle cose gravi. Ad esempio ad un magistrato che era venuto ad interrogarmi ho dato una sediata in testa e gli ho rotto la testa. Anche questo mi ha portato al manicomio. Ero proprio un delinquente: brutto da dire ma la mia vita era proprio così. E poi è cambiato tutto toccando il fondo, proprio quando pensavo fosse finito tutto: dal carcere, un gradino più giù c’era il manicomio criminale, l’OPG, l’ ‘ergastolo in bianco’. Chi finiva lì non usciva più perché non c’era un fine pena, uscivi quando eri guarito, se guarivi.

Quando è stato il momento in cui ti sei detto: ‘adesso basta, ho toccato il fondo, voglio risalire’?
Quando mi hanno legato nei letti di contenzione che c’erano nei manicomi criminali: ti spogliavano nudo come un verme, ti legavano mani e piedi e lì potevi stare un giorno, due giorni, una settimana, un mese legato. Ecco, vedevo solo il soffitto, un punto bianco e pensavo: ‘ma guarda cosa ho fatto, ma guarda, pensavo di essere un campione e invece dove sono andato a finire…’. Lì ho toccato il fondo perché ti facevi anche addosso, eri legato, ti davano da mangiare…

Era una condizione non umana.
Non umana, infatti sono stati chiusi perché gli OPG non erano umani e pensa che quando toccavo terra dopo esser stato legato per una settimana, solo al pensare di mettere un piede a terra e sentire quel fresco, ero già contento! Tornavo in cella e mi sembrava di tornare in Paradiso! Perché quando hai ancora meno della cella,  del carcere e sei legato, riesci a capire e pensi: ‘ma chi me lo ha fatto fare?’. Poi  io alla fine ero fortunato lo stesso perché  camminavo: potevo rassegnarmi a fare un’altra vita e non quella del delinquente!.

E sono questi i pensieri che ti hanno accompagnato durante la tua risalita?
Questi pensieri ed il pallone che ho ritrovato dentro l’OPG. Ogni anno c’era una corsa podistica che facevano all’interno dell’istituto, era un kilometro e una  dottoressa, Valeria Calevro, la direttrice dell’OPG,  mi ha chiesto di partecipare. Io le ho risposto: ‘ma dottoressa mi dia un pallone, un posto dove allenarmi e invece di correre, questo kilometro lo faccio palleggiando’.  E dal 1998 lei mi ha dato la sua fiducia e per me è stato un grosso gesto, mi ha ridato un pallone, come quando ero un ragazzo. Quando ero in manicomio avevo il pallone in cella, lo avevo con me, come quando ero ragazzino che me lo portavo nel letto, anche se mia mamma si arrabbiava perché diceva che sporcavo il letto ma io il pallone lo volevo sempre sentire coi piedi in fondo al letto! Lei mi ha dato dunque fiducia, e mi ha detto: ‘to’, prendi il pallone’ e mi ha dato un cortiletto, un buco, per allenarmi. Misurava 24 passi ed io li contavo questi 24 passi e mi allenavo tutti i giorni nelle ore d’aria per battere ogni primavera questo record. Nel 1998 ho fatto questo famoso kilometro palleggiando a marcia avanti con i piedi e mi dedicarono un piccolo trafiletto sul giornale locale. Nel  1999 ho fatto lo stesso kilometro palleggiando coi piedi ma a marcia indietro e di questa cosa, di un detenuto, di un internato, ne cominciò già a parlare Il Resto del Carlino. Nel 2000 poi ho fatto un kilometro a marcia indietro palleggiando con la testa e l’anno dopo ancora, il 2001, ho fatto 5 kilometri, 5 giri con il pallone stabile sulla fronte. E lì ha cominciato a parlarne il GQ: si era creata questa ‘leggenda’ di questo ‘Maradona’. Eravamo tutti Maradona in carcere negli anni ’80 e ’90 ma posso dire senza falsa umiltà di essere il vero Maradona del carcere, l’originale tra i carcerati, perché sono stato io a battere il record e di record ne ho battuti tanti.

Ci sono dei tuoi compagni di sofferenze in carcere che si sono riscattati seguendo il tuo esempio, innamorandosi dello sport, del calcio?
Certo! Lo sport è un veicolo eccezionale per trasmettere sani valori e principi. Io non solo ho rifatto l’atleta e mi allenavo per battere i record, ma ho trovato una persona che stava veramente male, un mio compagno di cella. In quegli anni lì l’ho aiutato: gli avevano dato 3 mesi di vita io invece questa persona l’ho aiutata, l’ho voluta con me in cella. Questa persona non era un delinquente come me, era nato così, con problemi psichiatrici e aveva dato una spinta a un suo compagno di stanza nell’ospedale psichiatrico. Questo signore aveva 80 anni, è caduto, ha picchiato la testa ed è morto e questa persona, di nome Giovanni, è stata portata in OPG. Lui era come un bambino, non sapeva neanche di esser lì. Ecco, Giovanni stava morendo e io lo sentivo lamentarsi a tre celle di distanza dalla mia, notte e giorno, allora sono andato dal dottore e l’ho chiesto. Dentro di me pensavo: ‘ma io cosa faccio? Voglio aiutarlo, non posso far finta di niente!’. Ho voluto Giovanni con me in cella e l’ho assistito per 5 anni. Non mi vergogno a dire che gli cambiavo i pannoloni perché si faceva sempre addosso, lo imboccavo.

Gli facevi da infermiere personale.
Sì e dormivamo con l’ossigeno perché quando stava male e non respirava più non ti diceva ‘sto male’, era come un bambino. Ecco io ho fatto questo.

Riusciva almeno a parlare Giovanni?
Sì parlava ma non diceva ‘sto male’, aveva un modo di parlare tutto suo, ‘svalvolava’ completamente.  Diceva che era figlio di Eisenhower e nipote di Johnson, per dire. Giovanni per me era un innocente che non meritava di star lì come me che invece lo meritavo, io l’ho preso in cura e non capivo che curando Giovanni aiutavo anche me stesso, perché  per me non facevo più niente, ero carne da macello, mi legavano, facevano quello che volevano, non sentivo più niente. Per me non l’avrei fatto, invece per lui l’ho fatto, perché lui per me era innocente. Ecco, da tutta questa storia poi Giovanni è uscito, hanno fatto delle mostre, l’ultimo record. Non  sono poi tanto i record che ho fatto io col pallone ma il fatto di aver salvato Giovanni  e di aver salvato anche me: da qui adesso stanno pensando di fare un film. È già uscito anche un libro. E dentro l’OPG ho trovato anche l’amore.

E ti accompagna ancora tua moglie?
La mia compagna. Anche questo lì: le chiesi come hai fatto a innamorarti? Lei rispose: ‘ho visto quello che facevi con Giovanni’… facendo del bene, ho ricevuto del bene indietro senza pretender niente. E oggi sono qui a Scampia per portare questo messaggio di pace e di fratellanza: lo sport col pallone.

Al principio hai parlato di bullismo, oggi è molto diffuso il cyberbullismo: cosa diresti ai ragazzi, non tanto vittime quanto autori del bullismo?
A quelli che lo attuano direi semplicemente che se loro pensano di mostrare di esser duri, di dimostrare qualcosa a qualcuno facendo vedere queste cose, si sbagliano completamente. Ci vuol altro per  avere il rispetto delle persone ed oggi io ho il rispetto delle persone perché aiutando Giovanni, le persone che mi conoscono a Reggio Emilia, gli stessi agenti di polizia penitenziaria mi rispettano per quello che ho fatto. Il rispetto non si ha mai calpestando uno più debole, pensando di metterlo sotto, bullizzandolo. Queste persone non valgono niente. Io ho dimostrato a tutti che la mia forza è stata aiutare il più debole. Ecco, consiglierei a questi ragazzi, invece di andare addosso alle persone più deboli, di aiutarle, vedi che poi arrivano delle soddisfazioni bellissime! E saranno veramente rispettati e voluti bene anche da chi li vede perché fare  del male è una cosa effimera, dura poco. Quello che fanno loro, pensando di fare un gesto per diventare eroi, non vale niente, vengono subito dimenticati, non serve a nulla! Io dico: aiutate un ragazzo che fra di voi fa più fatica, che ha problemi, tendetegli una mano. Così farete vedere ai vostri compagni che siete dei ragazzi forti perché la persona forte tende la mano a quella più debole e la alza, la persona forte non schiaccia quella più debole. Se uno fa così è una cosa da niente.   Questo direi ai ragazzi.

Qual era il tuo ruolo da giocatore?
Ero un trequartista.

Come vedi la situazione a centrocampo del Napoli tra infortuni e covid?
Penso che la squadra sia messa bene  a centrocampo anche se il momento è un po’ bruttino. Credo bisognerà aspettare che ritornino i giocatori che mancano e così il Napoli si toglierà delle belle soddisfazioni. Ne sono convinto. Siamo andati bene finora e ci siamo un po’ fermati però la qualità già si è vista. Se uno ha la qualità ci può essere un inciampo, anche io sono inciampato e caduto ma poi con la qualità che il Napoli ha dimostrato di avere credo che ritornerà al passo al quale ci ha abituati. E Forza Napoli Sempre!