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LUNEDÌ 20 APRILE 2015 - RUBRICHE

NAPOLICALCIONEWS RACCONTA: IL PROFESSORE DI LIPARI


Un mestierante navigato, un veggente con la tuta. Profetico, bizzarro, spesso oltre le righe: Franco Scoglio, uno che manca


 
     
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A cura di: Alfonso Palumbo
Fonte: Napolicalcionews.it

Il professore di Lipari

Scrivere di lui è un po’ come imbattersi in un’avventura, considerato l’oggi calcistico in tutto il suo se. E’ catapultarsi in un’epoca contraria, lontana, burrascosa ma ricca di romantici, di profili e storie vere, non certo cartoline. E’ parlare di un legame e di un amore così indissolubile che va oltre il velo apparente dell’ultimo sospiro, scalfito nei racconti e nelle parole che segnano i popoli, o il suo Dio, come amava definire il Genoa.

Che ne pensa professore?
Così perchè professore lo è stato davvero, essendosi laureato in pedagogia agli albori degli anni sessanta. Albergatore, uno da gran chiacchiera, Franco Scoglio nasce e cresce a Lipari manifestando ben presto i segni di una personalità controversa, legato com’era al culto del sacrificio ma anche all’estetica delle emozioni, e al calcio figurarsi.
Diplomazia, grandezza da gettare alle ortiche. Ecco chi è Scoglio.

Il pallone un rifugio. O una vacanza. Cresciuto a pane e cipolle, da piccolo dormiva su un letto di pietra pomice con sopra la paglia. Una carriera lunghissima, passata per i campi di Palmi, MessinaCrotoneGioieseAcirealeAkragas dopo Reggina, quindi nuovo ritorno a Messina e poi Genova, alternando miracoli a modeste figure. Parentesi brevi a Torino a Pescara, ad Ancona, una delusione a Bologna, poi la fine del racconto a Napoli, esonerato dopo 10 giornate.
Autentico a modo suo.  Un lupo di mare, snob nello sguardo e arrabbiato col mondo per chisà quale motivo. Maniacale nel dettaglio, iperbolico e mai banale nel verbo (i miei calciatori devono avere attributi tripallici), amante della tattica e della abnegazione negli allenamenti come pane quotidiano per ogni suo discepolo. Attaccato a tutto, uno che odiava discoteche e farmaci al fine di seguire i suoi calciatori ed attaccarci messaggi minatori sui tergicristalli, perchè i tifosi vengono prima di tutto.

Scoglio il rivoluzionario. Introdusse il concetto di zona “sporca” (marcatura applicata a zona e uomo insiemo), fu pioniere della “tabella di marcia” (una suddivisione del calendario in 4 o 8 partite a cui assegnare i rispettivi obiettivi), si inventò una teoria legata alle diagonali dei terzini e una alla figura del trequartista. Stravolse il modo di vedere il calcio, insomma, cercando una complicata trasposizione in salsa 2000 dell’Uruguay anni 30.
Un vincente? Figurarsi.
Un personaggio pittoresco piuttosto. Di quelli che lasciano il segno, di quelli che il distinguersi non è retorica, è sentimento. Un volto, le tracce di una dialettica calcistica applicata in ventuno metodi in cui battere un calcio piazzato. Una strana mestieranza.

Punti avversi semmai, calcio fluido su misura di tempo e spazio con lo scopo di non perdersi in chiacchiere e cercare l’attaccante rapidamente, perchè il professore non fa poesia, ma verticalizza.
Il Prisma di Scoglio, ecco cos’era. La ricerca spasmodica di ragionatori, lentoni pensanti in grado di sorreggere l’intera barracca e soddisfare le sue piccate ed astruse fantasie sui rombi,  alla faccia dei giovani Gattuso incapaci, perchè fare legna non è per lui.
Libidine pura. Ma anche una rabbia smisurata. Il viaggio a Tunisi, le vetrine Mondiali rifiutate, le disperate profezie su Ruotolo e l’avversione per Floro Flores, a cui chiedeva sistematicamente di farsi il giro del campo per accendere i riflettori del Centro Paradiso.

Già, quel Napoli al tramonto. Un esperienza complicata, un ultimo fallimentare tentativo di applicare il 3-3-1-3 ad un calcio ormai diretto altrove, con gli azzurri conseguentemente mandati al baratro. Sopraggiunse a Franco Colomba senza più alibi, con l’intento di riportare la squadra ad una posizione di classifica quanto meno accettabile. 5 acquisti per risollevare morale e obiettivi, gli interventi radiofonici per trattenere Stellone, la lite furibonda con Mancini e quell’affettuoso e malinconico rapporto con Marcolin, al punto da apostrofarlo “il suo cervello”. 12 punti per 9 gare, media da centro classifica. Vittorie con Catania e Cagliari, il Messina sconfitto di un soffio, i punticini rimediati a Terni e poi la debacle, già annunciata, puntualmente avvenuta con la Sampdoria.

La Sampdoria? Un’ossessione. Lui innamorato del Genoa al punto di definirla sua moglie, si pose l’unico obiettivo di finire davanti ai blucerchiati anche solo d’un punto, pena fallimento stagionale. Ebbe modo di batterli in un due derby consecutivi, uno accesissimo, datato 21 Aprile 2001: 2-0 dei grifoni, Nicola e Grandoni a prendersi a botte, lui sotto la Nord con i pugni al cielo gridando Hurrà a ripetizione, divenendo il nuovo idolo della folla.
Luci e ombre, Scoglio uno che manca. Amante del mare e della critica sopraffina, un sensation seeker impregnato e infiltrato nella modernità contro il calcio moderno. Uno capace di dare del lei in tuta con occhi da veggente di commercio. Navigato mestierante provvisto dei cosiddetti, in grado di difendere addetti e dipendenti con sincerità signorile. Con lui sempre, o con lui mai. Chiedete a Claudio Ferrarese, spedito a calci a Piacenza per due cross sbagliati: «Non te la prendere con la Madonna se sei scarso». Titolari e riserve, nessuna sfumatura. Il professore di Lipari sosteneva che i suoi calciatori avrebbero dovuto avere “attributi tripallici”. Pigrizia e insolenza, occhi gettati nel vuoto senza mandarle a dire, la figura di un tormentone morto parlando del Genoa, come profetizzò quasi un decennio prima. Folklore, insomma. Non snobismo. Ed è morto come vorremmo tutti, non “ad minchiam”, non mentre faceva progetti ma facendo quello che più gli piaceva: esprimersi, litigando.
     

Alfonso Palumbo