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GIOVEDÌ 26 NOVEMBRE 2020 - STAMPA

CDM - L'ARTE, LA GENIALITÀ, L'ESTRO DI MARADONA: UN ARTISTA COME PICASSO E CARAVAGGIO


L'omaggio al Diez da parte di Vincenzo Trione


 
     
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A cura di: Maria Villani
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

Ognuno ha il suo Maradona. Il mio è un eroe dell’adolescenza. È una cartolina del 1986 che ho conservato talmente bene da non riuscire più a trovarla, su cui c’era scritto: «A Vincenzo, con afecto, Diego (10)». Sono i pomeriggi in bianco e nero allo stadio insieme con mio padre o chiuso in casa a sentire alla radio Tutto il calcio minuto per minuto.

È un passaggio memorabile — una magia — fatto in una partita con il Torino. È la punizione in area tirata contro la Juventus, sotto una pioggia battente. È il primo scudetto, vissuto in tribuna, con un mio amico fraterno. È la spensieratezza di un’età ingenua. Insomma, è un pezzo di vita che ora va via.

Ma El Diego è stato anche altro, per me. Non solo il più grande calciatore del Novecento, di cui in queste ore tutti ripercorreranno le gesta e le imprese («chissà che avrei fatto se non avessi usato la cocaina», ha confessato in una delle interviste). Di lui Gianni Brera scrisse: «È un genio della pelota, dell’invenzione prestipedatoria, dell’esecuzione tecnica cum phantasia».

Maradona è stato anche un grande artista: tra i maggiori del secolo scorso. Lo aveva capito Eric Cantona, che lo aveva paragonato addirittura a Picasso. Un eccesso? No, un paragone opportuno, che ho sempre condiviso. Egli ha avuto talento picassiano. Ma anche temperamento caravaggesco e intelligenza duchampiana. Come il Picasso sempre insofferente nei confronti dei gruppi e dei movimenti, Maradona è stato un genio isolato, amato dai suoi compagni, capace di far vincere squadre in larga parte formate da ottimi comprimari (Argentina, Napoli). Inoltre, come Picasso, Diego ha fatto ciò che nessuno prima di lui aveva neanche osato; e ci ha incantato con acrobazie impossibili, rendendole naturali. L’azione che ha portato al secondo gol nell’epico match Argentina-Inghilterra ci consegna il corpo di un calciatore intento a disegnare traiettorie imprevedibili sul campo di gioco e a scartare avversari come fragili birilli, fino a depositare il pallone nella rete. Un amico, in Argentina, anni fa ha acquistato un piccolo libro sulle cui pagine è stato smontato, in centinaia di brevi frames, quel gol storico.

Con Picasso Maradona condivide la sapienza nello scomporre le azioni, ribaltandone le regole e i principi. D’incanto, si esibiva in danze. O si accendeva. Oppure si dedicava a sterzate fuori posto, non troppo diverse dai nasi incongrui e assurdi del padre del cubismo. Le finte, i rigori tirati al rallenty: ricordano le tele del periodo blu e quelle del periodo rosa. Come il Picasso che decostruisce volti e anatomie, Maradona prende in contropiede gli avversari, sperimentando un labirinto di partenze e di frenate, di giravolte e di cadute in piedi, di linee tonde e squadrate. Il suo ingresso nelle aree avversarie ha la carica dirompente di Guernica : semina panico, distruzione, macerie; e lascia dietro di sé facce incredule. Proprio come Picasso, Maradona era basso, piccolo. Ma sul campo diventava imprendibile. Due bambini prodigio.

Poi, c’è stato Maradona-Caravaggio. Due eretici. Dal maestro seicentesco il calciatore ha ereditato alcuni tratti: le rabbie, il gusto per le risse e per le sfide impossibili, ma soprattutto l’inclinazione a saldare arte e vita, collegando in maniera indissolubile la dimensione privata e la creazione. Inoltre, come Caravaggio, Maradona ha dovuto affrontare mille salite e altrettante cadute: eccessi e sregolatezza, trionfi e dolori, ricchezza e disperazione, Paradiso e malebolge, il rapporto con i potenti e una certa insofferenza nei confronti del sistema del calcio. E ancora: Diego è stato maledetto e addirittura divino. Anima fragile e dissoluta, ha fiancheggiato i territori del «male» ed è riuscito a toccare vette inarrivabili sul terreno di gioco: come l’autore delle Sette opere di misericordia . Infine, anche Maradona aveva scelto Napoli come patria d’elezione, che incarnava in maniera sorprendente il suo carattere corsaro, anarchico e, insieme, plebeo. Proprio come Caravaggio. Un angelo ferito.

Infine, c’è Maradona-Duchamp. Pensate alla «mano de Dios»: una trovata malandrina, geniale e irripetibile, come un motto di spirito, non troppo diverso da ready made duchampiani (l’igienico ribaltato e trasformato in una fontana).

«Di Maradona basta dire che tutto quel che faceva su un campo di calcio era perfettamente irragionevole», ha scritto di lui il suo amico Jorge Valdano.