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GIOVEDÌ 26 NOVEMBRE 2020 - STAMPA

CDM - ALESSIO FORGIONE: "QUANDO OFFENDEVANO MARADONA OFFENDEVANO ME E LA MIA FAMIGLIA..."


Il ricordo dello scrittore


 
     
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A cura di: Maria Villani
Fonte: Corriere del Mezzogiorno

Nel 1992 ho cominciato la seconda elementare nella scuola pubblica di Corbetta, provincia di Milano. I ragazzini si vestivano meglio di me e non parlavano mai in dialetto e dopo qualche tempo, dopo avermi visto giocare a pallone, pensavo io, presero a scrivermi «Maradona» sopra lo zaino, con il gessetto. Non lasciai stare, perché non pensai di dovermi difendere. Non ci fu proprio bisogno di far nulla, perché ne ero felice e orgoglioso.

Poi, successe che un giorno alla parola «Maradona» aggiunsero quella di «drogato» ed io mi sentii molto più che offeso. Mi sentii di fottere, tecnicamente parlando, perché non immaginavo si potesse dire qualcosa di male su Diego Armando Maradona e, in definitiva, fu come se offendessero me personalmente, ma anche mia mamma e mio padre, tutta la mia famiglia, anche quella lontana, e tutte le persone che non conoscevo bene, ma che esistevano, a Napoli, e continuavano a esistere lì.

Per tutta risposta, picchiavo questi bambini che mi capitavano a tiro, sempre, e più che la mia classe vidi i corridoi della scuola. Da tale assurda situazione, da una sicura bocciatura in seconda elementare, mi salvò mia mamma che decise che era meglio tornare e forse anche vivere sotto i ponti, ma che l’importante fosse stare a Napoli.

Così facemmo e da quel giorno, che ricordo perfettamente, la nostra macchina e l’autostrada che le scorreva sotto e non finiva mai, non ho più avuto bisogno di difendere Maradona, né in pubblico né in privato. Al massimo, di argomentarlo.

Diego Armando Maradona, semplicemente, per me che non sono nient’altro che un napoletano, è una delle cose più belle di questa vita.

Vuol dire vincere perché te lo meriti, restando al proprio posto, stringendo i denti e aspettando il tuo attimo, senza dover ringraziare nessuno, tentando il tutto per tutto e o la va o la spacca. Diego Armando Maradona è un eroe e quella persona di cui, quando facevamo filone, se c’era una casa dove chiudersi, se faceva freddo o pioveva, riguardavamo tutte le cassette in assoluto silenzio, come se la casa fosse una chiesa, e anche perché in casa di tutti c’erano le cassette di Maradona.

Non l’ho mai visto giocare dal vivo e questo è uno dei miei più grandi rimpianti. Ma sono cresciuto nel suo culto, a cavallo tra sacro e profano, come tutto quello che accade qui a Napoli. Ed io ci ho creduto alla sua natura ultraterrena, divina, alla sua figura di Dio sceso su questo pianeta per avvicinarci di più al cielo, esultando e facendoci gioire assieme. E quando mi trovo costretto ad argomentare del perché i napoletani, ai mondiali, tifino per l’Argentina e non per l’Italia, la mia risposta è semplice e forse anche banale: perché Maradona ha fatto quello che per noi l’Italia non ha mai fatto: ci ha resi felici. Perché è stato il perfetto idolo di una squadra di calcio il cui inno è una canzone sull’amore lontano, e perché Maradona ci ha anche insegnato ad amarci di più in quanto napoletani. Perché la nostra religione laica non si basa sulla morte di qualcuno o sul dolore, ma sulla bellezza e la gioia. Diego Armando Maradona è stato un missionario e a Napoli ha portato la sua fede senza spargimenti di sangue, e l’ha trasmessa a tutti quanti noi danzando il suo calcio e la sua esistenza.

Diego Armando Maradona, a Napoli, è una di quelle cose che non conosce critiche o offese.

Ci conformiamo tutti alla assoluta gratitudine e devozione che proviamo per un artista geniale, per un uomo che ha toccato così tante volte il fondo che anche lui ha smesso di contarle. E va bene così, non fa nulla, perché quel che conta, nella vita, non è il dolore, ma la gioia e la bellezza. Non ha reso il calcio più bello, o non solo: ha reso il mondo, partendo da Napoli, un posto migliore. E adesso temo, temo moltissimo. Temo che la notizia sia vera. Temo di essermi illuso e non posso essermi illuso perché restano le prove del passaggio di Maradona tra noi persone normali e intatto il suo culto, e non può morire così, mi dico, a sessant’anni, in un pomeriggio come tanti e che è restato come tanti. La terra non si è spaccata in due e il cielo non è diventato nero e il mare non si è aperto e noi tutti siamo sopravvissuti, inutilmente. Eppure Diego Armando Maradona è morto, ma forse, penso, è morto solo l’uomo e le sue spoglie terrene.

Quindi, farò quello che faranno tutte le persone come me e tutti i napoletani di questo mondo.

Aspetteremo tre giorni, nel caso Diego Armando Maradona decida di risorgere. Se così non fosse, se dovesse continuare a essere morto, allora non sarà morto: avrà semplicemente deciso che era arrivato il momento di pronunciare il suo «arrivederci», la parola più bella di tutte, quella che serve dirsi per pensarci reciprocamente mentre siamo lontani, e per volerci ancora più bene quando ci rincontreremo. E perché l’unica certezza che ho sempre avuto e che sempre mi rimarrà è che Diego Armano Maradona non può morire.

Per qualsiasi evenienza: grazie Diego, con tutto il cuore, per sempre.